giovedì 8 ottobre 2015

LE ORIGINI DELLA LETTERATURA IN VOLGARE ITALICO

(SFOGLIA IL TESTO)
 
 

Alle origini della Letteratura italiana

Finché Roma era stata la dominatrice del mondo, aveva imposto a tutti i popoli conquistati le sue leggi e la sua lingua, il latino. Dunque, in tutto l’impero si parlava in latino e si scriveva in latino. Ma esistevano due tipi di latino: quello colto dei sapienti (sermo doctus) e quello del popolo (sermo vulgaris) che si arricchiva e si trasformava lentamente a contatto con le lingue originali dei popoli conquistati. Con l’arrivo dei barbari ogni regione seguì poi un suo sviluppo.
Il sermo vulgaris rimase come base comune a molte lingue nuove, ma i popoli lo elaborarono e lo modificarono secondo le loro condizioni e necessità e ben presto il “volgare” divenne ovunque una lingua distinta dal latino.
Si differenziarono in Europa due fondamentali ceppi linguistici: quello settentrionale, in cui prevalsero le originali caratteristiche germaniche, e quello meridionale, in cui rimasero più evidenti i segni della romanità.
Il ceppo germanico dette origine al tedesco, all’anglosassone, al danese, al norvegese e allo svedese. Da quello romanzo fiorirono l’italiano, il francese, lo spagnolo, il portoghese, il rumeno.
Il sermo doctus rimase per molti secoli la lingua della Chiesa.
Fu infatti la Chiesa che, nella generale disgregazione, svolse un ruolo fondamentale essendo ormai rimasta come unico punto di riferimento. La sua azione trovò efficace strumento nel monachesimo, trapiantato in occidente da S. Benedetto da Norcia. I monasteri sorsero in luoghi fortificati e isolati. Qui, accanto alle attività di preghiera, si praticava una vita culturale e lavorativa per il proprio sostentamento. Il monastero era l’unico luogo dove si svolgeva un’attività culturale: la conservazione dei testi classici. Il tasso di analfabetismo era molto alto, gli unici a saper leggere e scrivere erano i monaci, che negli scriptorium trascrivevano sia testi classici sia libri sacri; i libri trascritti si chiamavano codici. Ma poiché era possibile ricopiare lo stesso testo in diversi monasteri e poiché era altrettanto facile, a causa dell’ignoranza e della distrazione, commettere errori, ecco che si venivano a formare, di un solo testo, varie interpretazioni scritte.
Tutto ciò influì enormemente sulla cultura dell’epoca. Infatti, proprio la Chiesa contribuì non poco all’affermazione delle nuove lingue: mentre compiva con gran merito l’opera di custodire, studiare e tramandare l’antico sapere e di conservare una lingua latina liturgica uguale per tutta la cristianità, sapeva cogliere le mutazioni linguistiche del popolo. Infatti, i sacerdoti, nelle predicazioni, cominciarono a usare sempre più spesso il volgare per essere capiti da tutti.
Il volgare, com’è facile intuire, fu prima parlato che scritto.
In Francia, grazie alle produzioni della letteratura cortese il volgare ebbe uno sviluppo repentino mentre in Italia ci si arrivò più tardi perché il latino era ancora ben radicato come lingua (d’altronde era nato lì) ed anche perché in Italia c’erano troppi dialetti.
Le prime lingue romanze, o almeno quelle di cui abbiamo una più ricca documentazione, ebbero dunque origine in Francia e furono la lingua d’oil (a nord ) e la lingua d’oc (a sud).
Nella lingua d’oil furono composte opere di contenuto epico, nella lingua d’oc, diffusa soprattutto in Provenza, si cantò specialmente d’amore.
La letteratura cortese
Si intende per poesia cortese quel “cantar d’amore” con cui i trovatori provenzali intrattenevano i signori delle corti feudali.
La gentilezza e l’amore sono l’oggetto principale della lirica cortese.
Il concetto feudale della “cortesia”, cioè della devozione del vassallo al suo signore, viene trasferito dai poeti provenzali nel rapporto d’amore: la donna diventa oggetto di “venerazione” a cui il poeta si rivolge con “amore” nostalgico e rassegnato (amore, adulterio platonico, finto e segreto).
La lirica provenzale è più concettuale che spontanea, più un gioco della mente che una realtà di sentimenti. Nasce un codice che stabilisce segni e modi convenzionali per individuare tutte le situazioni d’amore: dall’innamoramento alla delusione, dal timore di turbare la donna amata, troppo in alto per il suo cantare, al nome fittizio che le si attribuisce per mantenerne segreta l’identità al volgo indiscreto.
Molti poeti italiani scrissero in lingua provenzale, l’unica lingua che pareva tanto armoniosa da diventare poesia. D’altra parte, in Italia l’uso letterario di una lingua diversa dal latino arrivò più tardi che in Francia e in altri paesi europei perché, come già detto, l’Italia era la culla della lingua latina, ed inoltre la situazione politica aveva talmente frammentato il territorio italiano da ostacolare il diffondersi di una lingua volgare unitaria.
Le connotazioni dell’amore cortese
Nel “De Amore” di Andrea Cappellano (sud della Francia, lingua d’oc) la donna è considerata divina; l’amore dev’essere adultero (perché spesso i matrimoni erano combinati, quindi non erano frutto di amore vero, come in Paolo e Francesca) ed essendo inappagato ingentilisce l’animo.
La donna è al centro di tutto perché:
-      A corte c’erano poche donne
-      Il rapporto uomo/donna può essere inteso come quello re/vassallo
-      L’uomo che tende alla donna è come la classe dei cavalieri che aspira all’egemonia
Le diverse produzioni letterarie in Francia nell’età cortese
La canzone di gesta è fondata su una base storica ma può avere astoricismi (come la battaglia con i Saraceni nella Chanson de Roland, in cui la guerra diventa una battaglia tra religioni). Viene diffusa dai giullari, è in decasillabi, con lasse assonanzate.
Il romanzo cavalleresco in cui all’interno della leggenda si inseriscono amore e magia. È in ottonari. Da ricordare come scrittore c’è Chretien de Troyes ma esistono vari cicli di romanzi come quello bretone o quello di Carlomagno. Nella canzone di gesta agiscono forze centripete (da tante regioni i cavalieri si uniscono in un’unica impresa) mentre nel romanzo agiscono forze centrifughe (da una impresa ci si dirama a tante).
 
ATTIVITA'
Perché l' "amor cortese" era adultero?

4 commenti:

  1. Nel De Amore di Andrea Cappellano la figura femminile viene intesa come una creatura superiore ed irraggiungibile. L’amore quindi diventava il terreno privilegiato per far mostra delle proprie virtù cavalleresche, quali il valore, il coraggio, la gentilezza, la generosità e l’eleganza. L'amore era adultero perché, spesso, i matrimoni non erano frutto di amore vero, e il cavaliere s'innamorava della donna di altri senza che lo potesse dichiarare e, quindi, essendo un amore inappagato ingentiliva l'animo.

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  2. L'amore cortese era extra-coniugale, adultero, perché il vincolo matrimoniale, con la legalità e disponibilità del possesso, eliminava la trepidazione che nasceva dal desiderio ostacolato; ed era spesso asimmetrico, cioè rivolto ad una donna sposata di rango più elevato del poeta.

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  3. Nel “De Amore” di Andrea Cappellano (sud della Francia, lingua d’oc) la donna è considerata divina; l’amore dev’essere adultero (perché spesso i matrimoni erano combinati, quindi non erano frutto di amore vero, come in Paolo e Francesca) ed essendo inappagato ingentilisce l’animo.

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  4. L'amor cortese è adultero per definizione. Esso è desiderio fisico. Si instaura fra la dama e l'amante un rapporto d'amore esclusivo, così come il poeta deve rivolgersi ad una sola dama, essa deve accettare al suo servizio non più di un amante. Nel caso in cui una delle due parti trasgredisse, allora il rapporto potrebbe cessare.

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Prof.ssa Angelica Piscitello