(SFOGLIA IL TESTO)
Alle origini della Letteratura italiana
Finché Roma era stata
la dominatrice del mondo, aveva imposto a tutti i popoli conquistati le sue
leggi e la sua lingua, il latino.
Dunque, in tutto l’impero si parlava in latino e si scriveva in latino. Ma
esistevano due tipi di latino: quello colto dei sapienti (sermo doctus) e quello del popolo (sermo vulgaris) che si arricchiva
e si trasformava lentamente a contatto con le lingue originali dei popoli
conquistati. Con l’arrivo dei barbari ogni regione seguì poi un suo sviluppo.
Il sermo vulgaris rimase come base comune a molte lingue nuove,
ma i popoli lo elaborarono e lo modificarono secondo le loro condizioni e
necessità e ben presto il “volgare” divenne ovunque una lingua distinta dal
latino.
Si
differenziarono in Europa due fondamentali ceppi linguistici: quello settentrionale, in cui prevalsero le originali
caratteristiche germaniche, e quello meridionale, in cui rimasero più evidenti
i segni della romanità.
Il
ceppo germanico dette origine al tedesco, all’anglosassone, al danese, al
norvegese e allo svedese. Da quello romanzo fiorirono l’italiano, il francese,
lo spagnolo, il portoghese, il rumeno.
Il sermo doctus rimase per molti secoli la
lingua della Chiesa.
Fu infatti la Chiesa che, nella generale disgregazione,
svolse un ruolo fondamentale essendo ormai rimasta come unico punto di
riferimento. La sua azione trovò efficace strumento nel monachesimo,
trapiantato in occidente da S. Benedetto da Norcia. I monasteri sorsero in luoghi
fortificati e isolati. Qui, accanto alle attività di preghiera, si praticava
una vita culturale e lavorativa per il proprio sostentamento. Il monastero era
l’unico luogo dove si svolgeva un’attività culturale: la conservazione dei
testi classici. Il tasso di analfabetismo era molto alto, gli unici a saper
leggere e scrivere erano i monaci, che negli scriptorium trascrivevano sia testi classici sia libri sacri; i
libri trascritti si chiamavano codici.
Ma poiché era possibile ricopiare lo stesso testo in diversi monasteri e poiché
era altrettanto facile, a causa dell’ignoranza e della distrazione, commettere
errori, ecco che si venivano a formare, di un solo testo, varie interpretazioni
scritte.
Tutto ciò influì
enormemente sulla cultura dell’epoca. Infatti, proprio la Chiesa contribuì non
poco all’affermazione delle nuove lingue: mentre compiva con gran merito
l’opera di custodire, studiare e tramandare l’antico sapere e di conservare una
lingua latina liturgica uguale per tutta la cristianità, sapeva cogliere le
mutazioni linguistiche del popolo. Infatti, i sacerdoti, nelle predicazioni,
cominciarono a usare sempre più spesso il volgare
per essere capiti da tutti.
Il
volgare, com’è facile intuire, fu prima parlato che scritto.
In Francia, grazie alle produzioni della
letteratura cortese il volgare ebbe uno sviluppo repentino mentre in Italia ci
si arrivò più tardi perché il latino era ancora ben radicato come lingua
(d’altronde era nato lì) ed anche perché in Italia c’erano troppi dialetti.
Le
prime lingue romanze, o almeno quelle di cui abbiamo una più ricca
documentazione, ebbero dunque origine in Francia e furono la lingua d’oil
(a nord ) e la lingua d’oc (a sud).
Nella
lingua d’oil furono composte opere di
contenuto epico, nella lingua d’oc,
diffusa soprattutto in Provenza, si cantò specialmente d’amore.
La letteratura cortese
Si intende per poesia cortese quel “cantar d’amore” con
cui i trovatori provenzali intrattenevano i signori delle corti feudali.
La
gentilezza e l’amore sono l’oggetto principale della lirica cortese.
Il
concetto feudale della “cortesia”, cioè della devozione del vassallo al suo
signore, viene trasferito dai poeti provenzali nel rapporto d’amore: la donna
diventa oggetto di “venerazione” a cui il poeta si rivolge con “amore” nostalgico
e rassegnato (amore, adulterio platonico, finto e segreto).
La
lirica provenzale è più concettuale che spontanea, più un gioco della mente che
una realtà di sentimenti. Nasce un codice che stabilisce segni e modi
convenzionali per individuare tutte le situazioni d’amore: dall’innamoramento
alla delusione, dal timore di turbare la donna amata, troppo in alto per il suo
cantare, al nome fittizio che le si attribuisce per mantenerne segreta
l’identità al volgo indiscreto.
Molti
poeti italiani scrissero in lingua provenzale, l’unica lingua che pareva tanto
armoniosa da diventare poesia. D’altra parte, in Italia l’uso letterario di una
lingua diversa dal latino arrivò più tardi che in Francia e in altri paesi
europei perché, come già detto, l’Italia era la culla della lingua latina, ed
inoltre la situazione politica aveva talmente frammentato il territorio
italiano da ostacolare il diffondersi di una lingua volgare unitaria.
Le connotazioni dell’amore cortese
Nel “De Amore” di Andrea Cappellano (sud
della Francia, lingua d’oc) la donna
è considerata divina; l’amore dev’essere adultero (perché spesso i matrimoni
erano combinati, quindi non erano frutto di amore vero, come in Paolo e
Francesca) ed essendo inappagato ingentilisce l’animo.
La donna è al centro di
tutto perché:
-
A corte c’erano poche donne
-
Il rapporto uomo/donna può essere inteso come
quello re/vassallo
-
L’uomo che tende alla donna è come la classe dei
cavalieri che aspira all’egemonia
Le diverse produzioni letterarie in Francia nell’età cortese
La canzone di gesta è fondata su una base storica ma può avere
astoricismi (come la battaglia con i Saraceni nella Chanson de Roland, in cui
la guerra diventa una battaglia tra religioni). Viene diffusa dai giullari, è
in decasillabi, con lasse assonanzate.
Il romanzo cavalleresco in cui all’interno della leggenda si
inseriscono amore e magia. È in ottonari. Da ricordare come scrittore c’è
Chretien de Troyes ma esistono vari cicli di romanzi come quello bretone o
quello di Carlomagno. Nella canzone di gesta agiscono forze centripete (da
tante regioni i cavalieri si uniscono in un’unica impresa) mentre nel romanzo
agiscono forze centrifughe (da una impresa ci si dirama a tante).
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Perché l' "amor cortese" era adultero?